14 aprile 2020 - 21:08

È morto Franco Lauro, giornalista di Raisport: quell’unica volta che lo vidi con la cravatta fuoriposto

Lavoratore infaticabile, vestiva sempre elegante. Una volta si trovò in mezzo ai disordini della finale scudetto del 1989 di basket. Un’altra perse l’aereo per un profumo

di Flavio Vanetti

È morto Franco Lauro, giornalista di Raisport: quell'unica volta che lo vidi con la cravatta fuoriposto
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Prima di essere inglobato dal mondo del calcio che gli ha regalato, tra l’altro, anche il proscenio di programmi di punta quale la Domenica Sportiva e 90° minuto, Franco Lauro è stato per anni una voce del basket. Ed è probabilmente allo sport dei canestri che si lega in particolare il suo ricordo, ora che è mancato in modo improvviso: il primo amore, si sa, è sempre quello più importante, anche se Franco è stato poi anche protagonista sugli scenari dei Giochi olimpici.

Ma al basket si era avvicinato in anni in cui il boom avviato tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 non aveva ancora esaurito la sua spinta: quindi ha avuto modo di vivere pagine importanti, prima che il riflusso dettato da una serie di valutazioni sbagliate facesse perdere a questo sport un bel po’ di smalto e la sua forza creativa. Franco si presentava in maniera inconfondibile: pacco dei giornali sotto braccio e giacca e cravatta, immancabilmente. A qualsiasi ora. Ai Goodwill Games di Seattle, dove era stata invitata anche l’Italia del basket (in attesa di trasferirsi al Mondiale in Argentina), la differenza di fuso imponeva orari «garibaldini».

Lo ricordo in azione già alle 7 del mattino, mentre noi della stampa scritta ci preparavamo a raggiungere i vari luoghi di gara: sotto un tendone aveva organizzato uno studio, anche ad uso delle interviste. Tornavi al pomeriggio e lo trovavi sempre lì, in tenuta ancora inappuntabile nonostante il caldo feroce di quell’estate nella città di Jimi Hendrix. Amava il basket e ci metteva impegno, anche se poi incappava nei famosi momenti «alla Lauro», quando si distraeva e si tuffava nel suo personalissimo universo. Nel 2007, ad esempio, era aggregato al gruppo di colleghi che partivano da Malpensa per Belgrado per l’Eurobasket. Perdemmo le sue tracce sull’autobus che conduceva al velivolo: e nemmeno l’attesa in pista fu a lieto fine; di Franco nessuna traccia. Il pilota prese così atto del suo «no show», mise in moto e l’aereo partì.

A Belgrado si seppe che cosa era successo: si era dilungato al free shop (cravatte e profumi erano la sua passione) e s’era ritrovato con il volo chiuso. La hostess dell’imbarco fu inflessibile: Lauro, se non ricordo male, arrivò il giorno dopo. Come telecronista aveva cominciato dai servizi a bordo campo – a fianco della prima voce, Gianni Decleva – e a quel ruolo si lega un altro episodio. Mi riferisco al famoso spareggio Enichem Livorno-Philips Milano della finale scudetto 1989, con il canestro vincente allo scadere dei toscani prima concesso e poi annullato dagli arbitri. Il pubblico livornese invase il campo, ma nessuno ancora sapeva che non ci sarebbe stato nulla da festeggiare. L’entusiasmo era esploso – e un genio aveva aggiunto i due punti all’Enichem sul tabellone, evitando la messa a ferro e fuoco dell’impianto – ma allo stesso tempo stavano venendo a galla anche le tensioni e i rancori di una serie lunga, incerta e ricca di colpi di scena.

Se prima il clima dentro il palasport era stato (eufemismo) infuocato – Decleva a poco dal termine s’era beccato un asciugamano in testa da Roberto Premier che gli aveva pure urlato «Dai, dai, vediamo se racconti quello che ci stanno facendo» –, a partita conclusa tirava aria pesante, con la voglia di regolamento di conti e con una malcelata «caccia al milanese».

Può essere che Lauro sia finito in mezzo a uno di questi simpatici quadretti, visto che alla vigilia la Rai era stata accusata (anche in maniera pesante) di parteggiare per la Philips. Nella bolgia, mentre cercavo di raggiungere la zona dello spogliatoio dove gli arbitri stavano spiegando la loro decisione ai dirigenti delle due squadre, mi imbattei in Franco: aveva le cuffie storte sulla testa, gli occhi erano stralunati e continuava ad alzare i pollici delle mani all’indirizzo dei tifosi livornesi per tranquillizzarli e dire loro che era tutto ok, che avevano vinto. Forse fu l’unica volta che lo vidi con la cravatta fuori posto.

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