15 giugno 2020 - 22:49

Calendario Maya, perché non ha senso parlare di fine del mondo il 21 giugno 2020

Una teoria bizzarra (e infondata) ha fatto riemergere la presunta profezia della civiltà mesoamericana: la data del 21 dicembre 2012 sarebbe stata frutto di un calcolo errato. Ma non esistono prove

di Chiara Severgnini

Calendario Maya, perché non ha senso parlare di fine del mondo il 21 giugno 2020
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Ricordate la famigerata profezia Maya secondo cui il mondo doveva finire il 12 dicembre 2012? Ecco, è tornata, anche se la data prevista per l’Apocalisse è il 21 giugno di quest’anno. L’intera faccenda è ancora — vale la pena ribadirlo — una bufala, o meglio ancora un’interpretazione storiografica decisamente grossolana trasformata in lucrosa occasione di marketing. L’imminenza della fine del mondo, insomma, era infondata nel 2012 e lo resta a distanza di otto anni. Ma perché è tornata alla ribalta? E cosa c’entra il presunto scienziato Paolo Tagaloguin?

Andiamo con ordine. Da qualche giorno rimbalza sui social una teoria secondo cui la data della (presunta) fine del mondo secondo il calendario Maya, indicata a suo tempo nel 12 dicembre 2012, sarebbe stata in realtà frutto di un calcolo errato, causato dalla banale confusione tra calendario gregoriano e giuliano (il primo è stato introdotto nel 1582 per sostituire il secondo). A rilanciare per primo questa idea sembra essere stato un account Twitter associato al nome di Paolo Tagaloguin: i tweet ora sono stati cancellati e di lì a poco anche il profilo è scomparso, ma il nome è ormai legato indelebilmente a questa bufala. Di chi si tratta? Difficile dirlo, perché chiunque può aprire un account con quel nome. Anzi, a dirla tutta è già accaduto, perché dopo la scomparsa del profilo originario qualche provocatore — o, in gergo, troll — ha dato vita a @PaoloTagaloguin, forse per tentare di capitalizzare sull’improvvisa notorietà del presunto scienziato. Resta un fatto: esiste davvero uno studioso con quel nome e quel cognome, ma non si occupa di studiare la civiltà Maya, bensì di biologia (presso la Mindanao State University di General Santos City, nelle Filippine).

Indipendentemente dall’identità reale della persona che per prima ha messo in circolo la notizia del ricalcolo, resta un fatto: i Maya non avevano previsto la fine del mondo, né per il 12 dicembre 2012, né per un’altra data. La Nasa, in un lungo approfondimento sul tema realizzato otto anni fa, offre in merito un utile paragone. Il fatto che i nostri calendari arrivino fino al 31 dicembre non significa che il mondo debba finire quel giorno, ma solo che, per convenzione, il 1 gennaio si fa iniziare un nuovo calendario. Ecco, vale lo stesso con il cosiddetto «lungo computo» — il calendario di lungo periodo usato dall’antica civiltà mesoamericana per suddividere il tempo in epoche storiche — che effettivamente è terminato nel 2012.

Sandra Noble, direttrice della Foundation for the Advancement of Mesoamerican Studies, ha chiarito già otto anni fa che alla fine di quel computo non c’era l’Apocalisse, ma semplicemente l’inizio di un nuovo ciclo: una circostanza che i Maya non temevano affatto e che, nelle parole della studiosa, qualcuno ha voluto trasformare «in un’occasione per fare molti soldi». Difficile darle torto se si ripensa alla grande quantità di trovate pubblicitarie, editoriali, cinematografiche e televisive ispirate alla presunta profezia Maya nel 2012. Succederà anche nel 2020? Tra la pandemia di coronavirus e gli sciami di cavallette in Kenya e Pakistan, era da settimane che si rincorrevano le battute sull’Apocalisse. Venire a sapere proprio ora che la (finta) fine del mondo era stata solo rimandata... bé, sembra una coincidenza davvero bizzarra. Così bizzarra che forse non è proprio una coincidenza.

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