Addio a Nino Milazzo, vicedirettore del «Corriere» dal 1985 al 1987

di ANTONIO FERRARI

Si è spento a Catania a 91 anni, nella notte tra l’11 e il 12 agosto, pochi giorni dopo la morte della moglie. Era diventato il numero due di Piero Ostellino

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Nino Milazzo (1930-2021) è stato vicedirettore del «Corriere» dal 1985 al 1987

Come tutti, e in particolare come giornalista, so che è impossibile vivere senza il cellulare. E so molto bene che ora, quando squilla, quasi sempre — per uno della mia età — è per comunicarmi una triste notizia. L’ultima mi ha colpito il cuore, perché Nino Milazzo, che è stato vicedirettore del nostro «Corriere della Sera» (dal 1985 al 1987), non era soltanto una prestigiosa guida professionale, ma un caro amico. Si è spento a Catania nella notte tra mercoledì e giovedì, aveva 91 anni (era nato a Biancavilla il 16 gennaio 1930). Sapevo dei suoi guai di salute, come di quelli della moglie, che è scomparsa pochi giorni prima di Nino. La notizia mi ha davvero sconvolto, anche se purtroppo la temevo. Ho sempre cercato di evitare la retorica, non è nella mia natura. E quando muore un grande collega cerco di ricordare episodi di vita vissuta assieme. Abbiamo avuto qualche dissapore sindacale, ai tempi della ruvida direzione del grandissimo Alberto Cavallari, ma di Nino mi colpivano la serietà e il rispetto delle competenze di ciascuno.

Un giorno il successore di Cavallari, Piero Ostellino, mi chiese di andare a Venezia per un convegno dell’Aspen. Tra i presenti vi erano il cancelliere tedesco Helmut Schmidt e il ministro Gianni De Michelis. Era con me la mia compagna di allora Agnes Spaak, e mi venne in mente che lo zio di Agnes, Paul Henry, era un grande amico del cancelliere, oltre ad essere tra i creatori dell’Unione Europea. La mia compagna scrisse un biglietto che fu recapitato a Schmidt per chiedere un’intervista. Intervista, ritenuta quasi impossibile, che il cancelliere, incuriosito, accettò. Era luglio, della Germania sapevo poco o niente. Chiamai Nino che, entusiasta dello scoop, mi dettò pazientemente le domande principali e disse: «Ostellino ed io siamo felici. Grazie Antonio. È un gran colpo». Due giorni dopo l’intervista apriva il «Corriere», e il seguito era in terza pagina, la pagina nobile del quotidiano di allora.

Ricordo l’eccitazione di Nino quando gli dissi che mi era stata concessa un’importante intervista con il dittatore comunista romeno Nicolae Ceausescu. E poi lo struggente ricordo personalissimo di quando Nino, con i miei colleghi Sandro Manzini, allora caporedattore, e Mino Vignolo, inviato speciale come chi scrive, vennero a Genova per vedere con me la partita tra il Milan e la Sampdoria. La mia cara mamma, piacentina e donna molto semplice, aveva preparato piatti della cucina emiliana, come le caramelle, cioè pasta ripiena di verdura e carne tritata. Milazzo, gran signore, si presentò con un gigantesco mazzo di fiori. Lo porse alla mia mamma, felice di tanta gentilezza. Nino sorrise: «Signora, cosa vuole, noi siciliani siamo terroni». Mia madre, senza rendersi conto della gaffe rispose: «Terrone lei? Non l’avrei mai detto dottor Milazzo». E lui «Sì sono proprio terrone. Mi perdoni». Si finì tra le risate prima di andare allo stadio.

Con Nino ci siamo frequentati anche dopo la sua uscita dal «Corriere». A Milano ha conosciuto mia moglie greca, commentando: «Molto bella. Lei mi fa pensare a Irene Papas giovane». Ci siamo incontrati più volte anche per il premio dedicato a Maria Grazia Cutuli, a Santa Venerina, non lontano da Catania, con l’organizzazione curata da Francesco Faranda. Nino era sempre lui, sempre signore, sempre attento. Così sono i veri galantuomini. Dovunque tu sia, guidaci ancora, caro Nino. Il «Corriere» ha sempre bisogno di te.

12 agosto 2021 (modifica il 12 agosto 2021 | 21:11)