È morto il jazzista Franco Cerri: era stato anche l’Uomo in ammollo

di Claudio Sessa

Milanese, autodidatta era tra i più grandi chitarristi del genere e aveva collaborato con i più grandi, da Billie Holiday a Chet Baker. Ma la fama era arrivata anche con uno spot

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Se ne è andato la notte scorsa Franco Cerri, uno dei più squisiti musicisti italiani. Ha avuto vita e carriera lunghissimi, essendo nato il 29 gennaio 1926, ma avrebbe avuto ancora tanto da dire con il suo esempio strumentale e la sua umanità. Era nato a Milano da una famiglia operaia, si era innamorato della chitarra da autodidatta e la sua rivelazione era stata simile alle storie che raccontano le fiabe: la notte del Venticinque Aprile nel cortile di una casa di ringhiera, la gente a far festa, lui ad accompagnare i balli e un tizio che passa e gli dice «sei bravo, domani vieni a trovarmi». Il tizio era Gorni Kramer, una delle figure più popolari della musica leggera (e del jazz) in Italia.

Da quel momento Franco Cerri conosce una costante ascesa; suona con il Quartetto Cetra e altri popolari cantanti, ma soprattutto si dedica al jazz più attuale. Nel 1949 ha l’occasione di accompagnare il suo idolo, Django Reinhardt, di passaggio in Italia; in seguito affiancherà altri miti come Bille Holiday, Toots Thielemans, Chet Baker, Lee Konitz, Dizzy Gillespie. Il Gotha dei chitarristi internazionali, da Barney Kessel a Jim Hall, lo accoglie come collega e amico; George Benson dichiarerà pubblicamente di avere appreso molto da lui. Nel frattempo Cerri intraprende anche una carriera come leader e incide sempre più spesso (aveva iniziato nel 1947, l’ultimo disco è del 2015). Ma allora il jazz non permette certo di vivere. Cerri accompagna tutte le personalità di rilievo della sua lunga epoca, da Mina a Joao Gilberto.

Nonostante la timidezza, o forse proprio per questo, diventa un personaggio pubblico della televisione in crescita degli anni Sessanta. Molti ricordano ancora la sua pubblicità di un detersivo in qualità di “uomo in ammollo”, ma è anche ospite di spettacoli popolari come “Senza Rete” e soprattutto, con la sua cortesia mai invasiva, conduce qualche rara trasmissione che la Rai dedica al jazz. La sua chitarra ha la stessa pacatezza dell’uomo che la maneggia, a lui piacciono i colori pastello del jazz californiano, la bossa nova, le melodie dei grandi standard. Al tempo stesso conosce bene la grande unità che lega ogni stagione di questa musica, ama i suoi protagonisti da Louis Armstrong a Charlie Parker e oltre, e per questo dagli anni Settanta la sua musica entra in una sorta di classicità che tutto contiene in un linguaggio estremamente personale e subito identificabile.

Purtroppo conosce anche la tragedia familiare, suo figlio Stefano, talento del basso elettrico cresciuto anche musicalmente al suo fianco, muore ancor giovane di tumore. Suona sempre più spesso con il pianista Enrico Intra, altro monumento del jazz alla milanese; con lui fonda un’associazione culturale, organizza concerti, poi fonda una scuola di musica tuttora attiva, quei Civici Corsi di Jazz nei quali ha formato decine, centinaia di chitarristi. Umorista di grande finezza, come mostrano i giochi di parole nei titoli dei suoi brani, aveva inciso gli ultimi dischi con un trio ritmico di grande caratura (Dado Moroni, Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli) in un gruppo chiamato Barber Shop, il negozio di barbiere: a simboleggiare con sottile understatement quel bisogno di colloquialità informale, e magari anche di pulizia interiore, che del vero jazz è parte inalienabile.

Purtroppo conosce anche la tragedia familiare, suo figlio Stefano, talento del basso elettrico cresciuto anche musicalmente al suo fianco, muore ancor giovane di tumore. Suona sempre più spesso con il pianista Enrico Intra, altro monumento del jazz alla milanese; con lui fonda un’associazione culturale, organizza concerti, poi fonda una scuola di musica tuttora attiva, quei Civici Corsi di Jazz nei quali ha formato decine, centinaia di chitarristi. Umorista di grande finezza, come mostrano i giochi di parole nei titoli dei suoi brani, aveva inciso gli ultimi dischi con un trio ritmico di grande caratura (Dado Moroni, Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli) in un gruppo chiamato Barber Shop, il negozio di barbiere: a simboleggiare con sottile understatement quel bisogno di colloquialità informale, e magari anche di pulizia interiore, che del vero jazz è parte inalienabile.

18 ottobre 2021 (modifica il 18 ottobre 2021 | 18:13)