Mezzogiorno, 21 gennaio 2022 - 18:12

Camillo Milli, l’amico Lino Banfi:
«L’avrei visto presidente nel calcio
di Maradona, Falcao e Platini»

Insieme furono protagonisti ne «L’allenatore nel Pallone». Il pugliese ricorda l’attore scomparso a 91 anni: «Sul set lo facevo impazzire, ma non si lamentava mai»

di Francesco Mazzotta

shadow

Lino Banfi e Camillo Milli ne «L’Allenatore nel Pallone»
Lino Banfi e Camillo Milli ne «L’Allenatore nel Pallone»

«Certo, è strana la vita: abbiamo fatto un film sul calcio, ma non ho mai saputo per quale squadra tifasse».Lino Banfi ricorda Camillo Milli, l’attore scomparso l’altro giorno a 91 anni con il quale girò «L’allenatore nel pallone», film cult degli anni ’80 entrato nel cuore degli italiani. Banfi era Oronzo Canà, il pluriesonerato allenatore dagli improbabili schemi di gioco che viene ingaggiato da una squadra di Serie A, la Longobarda, e dal suo patron, il personaggio interpretato da Milli, che a recitare aveva iniziato a teatro con Strehler e nel cinema aveva poi lavorato con Monicelli (Il marchese del Grillo) e Magni (In nome del Papa Re). «Gli piaceva molto fare il presidente di questa squadra scalcinata - racconta l’attore pugliese -. Scherzando, diceva che questo ruolo lo faceva sentire importante».

Sul set andavate d’accordo?

«Avevamo instaurato un bel rapporto. Lo facevo impazzire perché, da vero cialtrone, cambiavo continuamente le battute. Non si lamentava mai con il regista, Sergio Martino. Anzi, mi veniva dietro. Era un grande professionista. E sul set e a teatro lo sei soltanto se riesci a improvvisare, come faceva lui adeguandosi ai miei continui stravolgimenti».

Avete continuato a frequentarvi anche dopo?

«A dire la verità, non ci vedevamo da molti anni. Questo mondo è così, ci si allontana, non per cattiveria, ma perché si è impegnati, chi di qua, chi di là. Magari ci si incontra a qualche evento, e poi non ci si vede più per tanto tempo. Mi dispiace molto per la sua scomparsa. Era un bravissimo attore, anche se non aveva mai avuto un ruolo da protagonista. Sapeva fare bene il suo lavoro».

Avete fatto ridere gli italiani raccontando un mondo, quello del calcio, che forse oggi non esiste più.

«Il calcio era complicato anche allora, ma l’atmosfera era sicuramente diversa. Oggi si ride meno, anche negli spogliatoi. Forse prima c’era più cameratismo tra i ragazzi. Da romanista non conosco i nuovi dirigenti della squadra, perché sono stranieri, ma mi sarebbe piaciuto vedere alla guida della società due bandiere come Totti o De Rossi, gente ancora giovane di spirito. Forse il calcio funzionerebbe meglio se ci fosse maggiore leggerezza».

Rimpiange gli anni di Platini, Maradona, Falcao?

«Proprio l’altro giorno, mi chiama da una radio di Roma, Giuseppe, il figlio di Falcao. L’avevo conosciuto che era un bambino, quando con Paulo Roberto facevamo Domenica In. Che tempi! So che ci sono stati problemi familiari, e per delicatezza non ho chiesto. Credo che il padre sia tornato in Brasile, a Porto Alegre».

Il “porca puttena” finito in uno spot e poi censurato per l’intervento del Moige era iniziato a diventare cult proprio dopo il film «L’allenatore nel pallone».

«Sì, anche se l’avevo sempre usato. Peccato per la censura alla pubblicità. In Puglia quell’espressione può significare meraviglia, gioia, dolore…Uno muore? Porca…Uno vince al Superenalotto? Porca…Fa pure rima con quarantena! Alla fine, se n’è parlato così tanto che l’effetto spot è stato ancora più forte».

L’espressione era diventata un portafortuna per gli Azzurri agli Europei.

«Speriamo lo adottino anche per i Mondiali. Magari vinciamo pure quelli».

La newsletter del Corriere del Mezzogiorno

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie della Puglia iscriviti gratis alla newsletter del Corriere del Mezzogiorno. Arriva tutti i giorni direttamente nella tua casella di posta alle 12. Basta cliccare qui.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT