24 febbraio 2018 - 23:38

Palestre dopate, sostanze illegali
in una struttura su 6 di body building

Il tour degli spacciatori con i muscoli gonfiati che si iscrivono fingendosi normali clienti .In Rete gli integratori con ingredienti proibiti

di Riccardo Bruno

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Non ci sono più alibi. Difficile non sapere che di doping ne gira parecchio tra chi fa sport, soprattutto nelle palestre. E che può avere consequenze drammatiche, fino a uccidere. Eppure non basta, non è un deterrente sufficiente. «È venuta da me una madre con il figlio di 19 anni. Il ragazzo faceva body building da due anni, prendeva ormoni anabolizzanti, si stava gonfiando oltre misura. La madre era un medico, eppure non era riuscita a convincerlo. Gli ho parlato, non so se ci sono riuscito io...». Marco Zanetti è un biologo nutrizionista e preparatore atletico, ma è anche presidente della Fibbn, la Fitness Italia body building natural. «Natural» perché è un’associazione nata 13 anni per difendere l’allenamento pulito. A quanto pare un’anomalia rispetto al resto, da segnalare perfino nel nome. Quello del doping nelle palestre è un mondo sommerso, dove ci sono più esibizioni che gare vere e proprie, ed è difficile essere beccati dai controlli. Sandro Donati, l’allenatore che ha fatto della lotta alle manipolazioni una crociata, ha realizzato insieme alla criminologa Letizia Paoli un rapporto che resta la stima più accredita sulle dimensioni del fenomeno. Numeri impressionati: in quasi una palestra su sei (il 16,25%) con strutture da body building circolano sostanze dopanti e ne fanno uso 68.700 body-builder (addirittura uno su tre). Un affare complessivo da oltre 500 milioni di euro all’anno, dove la parte del leone la fanno gli steroidi, che sono appunto i prodotti preferiti da chi vuole tanti muscoli e in poco tempo.

I traffici e la criminalità

Fuori dai test a sorpresa sui professionisti, e persino da quelli sugli amatori comunque tesserati al Coni, la vigilanza su chi ricorre a scorciatoie pericolose è affidata soprattutto alle indagini delle forze di polizia, in particolare dei Nas, il reparto dei carabinieri per la tutela della salute. «Va intanto sfatato il mito negativo che dopandosi non si rischia niente — avverte il colonnello Andrea Zapparoli, comandante del reparto operativo dei Nas —. A parte le consequenze imprevedibili sul proprio corpo, chi acquista queste sostanze commette reati, come la ricettazione essendo quasi sempre prodotti di provenienza illecita». I Nas svolgono una vera e propria attività di intelligence, a partire dai 170 marescialli-ispettori anti doping che a volte si iscrivono nelle palestre per intercettare i traffici clandestini. «Il canale di approvvigionamento principale è internet, sopratutto il dark web, oppure i contatti tramite chat, forum e social network — continua il colonnello Zapparoli —. E le sostanze arrivano quasi sempre all’Asia attraverso i Paesi dell’Est». Anche se finora non è stato mai provato un collegamento diretto con i flussi di droga gestiti dalle organizzazioni mafiose, dietro ci sono comunque organizzazioni criminali ben strutturate dove lo «spacciatore» finale è solo l’ultimo anello.

Gli atleti-spacciatori

A volte è lo stesso atleta a diventare distributore di prodotti vietati. «Funziona molto il passaparola, il consiglio di un conoscente. Ci sono tipi muscolosi che fanno vere e proprie tournée nelle palestre per reclutare nuovi clienti» spiega Gustavo Savino, dirigente all’Ausl di Modena e coordinatore del Centro antidoping della Regione Emilia Romagna. «Da noi si rivolgono molti genitori preoccupati — continua Savino —. Abbiamo avuto anche il caso di uno scacchista-avvocato che nel giro delle palestre recuperava anfetamine fino a diventarne dipendente, oppure il fotomodello a cui la sua agenzia aveva chiesto di mettere massa muscolare. Ha iniziato a prendere anabolizzanti finché non ha avuto problemi sessuali con la fidanzata». Nonostante informazioni e allarmi, è evidente che sono tanti quelli disposti a correre più di un rischio. «Un occhio esperto lo capisce subito quando sono state utilizzate sostanze dopanti — spiega ancora il presidente della Fibbn Zanetti —. Qualcuno pensa che tutto sommato fa più male il fumo. Per questo è necessario lavorare non solo sulla repressione ma anche sull’educazione, a partire da scuola e famiglia».

L’abuso di farmaci

La Commissione di vigilanza per il doping del ministero della Salute qualche anno fa aveva avviato il progetto «Palestra sicura» ed era in progetto anche una sorta di «bollino verde» per le strutture virtuose. I tagli hanno spinto nel cassetto i buoni propositi. «Ma è da qui che bisogna ripartire, perché questo fenomeno si sconfigge prima di tutto a livello culturale» avverte Roberta Pacifici, appassionata direttrice del Centro dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità. «Purtroppo quando facciamo i controlli è come andare a pesca di trote in un laghetto» sintetizza con una battuta e mostra le immagini degli integratori reperiti sul mercato straniero. Dovrebbero contenere solo vitamine o caffeina, ma i nomi sono già tutto un programma, come «super pump » o «animal», e in effetti dentro sono stati trovati anabolizzanti come il testosterone o lo stanozololo, o anti-estrogeni come il clomifene. Al di là dei contenuti non dichiarati, l’uso eccessivo di prodotti di integrazione e medici, apre un altro capitolo. «Oltre il 70% degli atleti dichiara di assumere farmaci — conclude la dottoressa Pacifici —. E pensare che lo sport dovrebbe esser sinonimo di salute». È quella che viene chiamata la medicalizzazione dello sportivo. A volte solo l’anticamera del doping vero e proprio.

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