Mezzogiorno, 13 novembre 2021 - 08:03

Abbagnale: «Noi e Giampiero Galeazzi, un connubio indissolubile»

Il capovoga dell’armo azzurro: «Amico e grande giornalista, il canottaggio è cresciuto grazie a lui. La Federazione dovrà onorarlo»

di Gimmo Cuomo

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Il racconto concitato degli ultimi 150 metri della finale olimpica di Seul ‘88 del «due con» resterà un monumento pari forse alla stessa impresa dorata di Giuseppe e Carmine Abbagnale e del timoniere Peppiniello Di Capua. Mentre gli atleti del Circolo Nautico Stabia scaricavano sui remi una forza quasi sovrumana, Giampiero Galeazzi buttava in quella telecronaca notturna tutta la passione di cui era capace, coinvolgendo l’Italia intera. Da quella notte magica, non meno di altre legate sempre a grandi vittorie tricolori, sono passati 33 anni. Giuseppe Abbagnale, il capovoga dell’armo azzurro, è ora il presidente della Federazione Italiana Canottaggio. La scomparsa di Galeazzi rappresenta per lui, come per Carmine e per Peppiniello un lutto profondo.

Presidente, quando ha appreso la notizia della scomparsa?
«Ho ricevuto la notizia ieri mattina, E sono rimasto attonito. Anzi, la prima sensazione è stata di incredulità. Poi purtroppo ho dovuto prendere coscienza della scomparsa di un amico e di un grande giornalista. Sono molto triste, come, del resto, tanti italiani. Il mondo sportivo tutto è in lutto, in particolare, se mi permette, quello del canottaggio».

Era rimasto in contatto con lui?
«Sì, certo. Anche se il Covid, inevitabilmente, ha finito per allentare un po’ i rapporti. Ma fino a un paio di anni fa erano diversi i momenti in cui ci si incrociava, magari in occasione di qualche evento a Roma, di qualche festeggiamento. Da due anni non ci incontravamo. L’ultimo contatto indiretto una quindicina di giorni fa attraverso la figlia Susanna, anche lei giornalista. Ci siamo sentiti in vista di una manifestazione sportiva sul Tevere».

Le ha rappresentato le condizioni del padre?
«Mi ha detto che stava male, ma mi ha anche fatto intendere di essere fiduciosa. Invece, evidentemente, la situazione è precipitata».

Ritiene che le telecronache di Galeazzi abbiano contribuito alla nascita e alla crescita del mito dei Fratelloni di Castellammare di Stabia?
«Assolutamente sì. C’è stato un momento in cui il connubio tra noi e lui era diventato indissolubile. I suoi racconti appassionati hanno certamente migliorato la percezione del fenomeno nell’opinione pubblica».

La telecronaca più bella resta quella di Seul?
«Diciamo che quella è la più inflazionata. Giampiero ha commentato brillantemente anche altre gare con la stessa competenza ed enfasi. Certamente quella di Seul era una delle gare più attese del programma olimpico. Le aspettative erano altissime. È normale che in quell’occasione sia emerso un pathos particolare».

E ritiene che, oltre alle vostre imprese, anche quelle telecronache abbiano richiamato l’attenzione sul mondo del canottaggio?
«Certamente. Saper raccontare un evento è un valore aggiunto. La percezione del fascino della nostra disciplina in quel periodo aumentò tantissimo».

Un aneddoto?
«In quarant’anni ce ne sono tanti. Naturalmente si sprecano quelli a tavola. E poi quanti ricordi di momenti pre e post gara. Giampiero rivendicava sempre con tenacia i suoi trascorsi di canottiere. Aveva vinto due titoli italiani. E non gli andava giù l’esclusione dai Giochi Olimpici di Città del Messico del 1968».

È stato anche un amico del Circolo Nautico Stabia?
«Sì, è stato ospite d’onore dei festeggiamenti delle nostre vittorie».

La Federazione Italiana Canottaggio troverà il modo per onorarne la memoria?
«Resteremo in contatto con la famiglia e qualcosa metteremo su. Giampiero lo ha meritato».

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