CREDITO

Morto Sergio Siglienti, ex presidente di Banca Commerciale Italiana

di Nicola Saldutti

Morto Sergio Siglienti, ex presidente di Banca Commerciale Italiana

Dietro le sue lenti spesse, come quelle di Ugo La Malfa, Sergio Siglienti ha rappresentato una pagina di storia non solo economica e finanziaria di questo Paese. Protagonista, testimone e talvolta vittima delle battaglie della finanza che negli anni Novanta hanno ridisegnato gli assetti di comando in Piazza Affari. Almeno tre le città della sua vita, Sassari, dove nasce il 19 maggio del 1926. Studia al liceo classico Azuni con il cugino, Enrico Berlinguer. Lui, futuro banchiere. Enrico, leader del Partito Comunista Italiano. Poi Roma, dove si laurea in Giurisprudenza. La madre Ines Berlinguer è una delle figure simbolo della Resistenza. Quando il marito, Stefano Siglienti, tra i fondatori di Giustizia e Libertà, viene arrestato dalle SS, in via Tasso, è lei che riesce a farlo liberare. Sergio entra nella Comit, nel 1951. Impiegato. Milano, Piazza della Scala. È al Fondo monetario internazionale, quando lo nota Raffaele Mattioli, che nei caveau della Comit aveva protetto le lettere dal carcere di Antonio Gramsci. E lui torna in Italia. La sua vita e quella della «Bci» sono intrecciate fino alla fine. Diventa amministratore delegato nel 1987. Tre anni dopo ne diventa presidente. È un periodo complicato per l’Italia, per far fronte al debito l’Europa impone la via delle privatizzazioni. E la banca va sul mercato. È il 1994. Le storie di Comit e Mediobanca sono troppo legate perché Enrico Cuccia lasci l’ultima parola solo alla Borsa. Si forma un nucleo di azionisti che elegge presidente Lionello Adler, non Siglienti. Il suo nome nell’elenco del consiglio non appare. È la rottura.

Il libro sulla Comit

Più tardi, dieci anni dopo romperà il silenzio per raccontare la sua storia nel libro «Comit, una privatizzazione molto privata». E fotograferà una situazione che spesso si è verificata nell’incrocio pericoloso tra banche e imprese: la figura del debitore di riferimento. Imprenditori con ruoli di primo piano nelle stesse banche che li finanziano. Spiegherà: Mediobanca ha spesso dovuto svolgere un ruolo di supplenza. Il suo modello era la public company, ma dirà : Comit è stata scalata ancora prima di nascere. Qualche tempo prima si era opposto al progetto di fondere le ex banche di interesse nazionale, Commerciale, Credit e Banco di Roma. È un banchiere riservato, ma combattivo. Coerente nelle sue battaglie nel tentativo di far crescere questo mercato italiano. Il presidente della Repubblica, Cossiga, siamo nel 1979, gli aveva proposto di diventare direttore generale della Banca d’Italia quando Carlo Azeglio Ciampi ne diventò governatore.

Una vita di battaglie

A scorrere la sua biografia, è piena di battaglie. Come per la madre Ines. L’ultima, quando il ministero del Tesoro lo chiama a guidare l’Ina. Ne fa una società talmente competitiva, che le Generali lanceranno un’offerta ostile da 24 mila miliardi (in lire). Siamo nel ’99. Il fronte dei soci si rompe e alla fine si trova l’accordo. Con quel misto di ironia e rigore commenterà, citando Tacito: fanno un deserto e la chiamano pace. Ha guidato l’Istituto superiore di Studi Storici, fondato da Benedetto Croce. Per descrivere se stesso, diceva: «Sassari è la più vecchia colonia pisana della Sardegna. Ecco perché i sassaresi sono un po’ litigiosi: si sono sempre considerati con altezzosità e superbia». Nel suo caso, coerenza.

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