Il colloquio

Il futuro di Google: l’intervista a Sundar Pichai

di Davide Casati e Martina Pennisi

Il futuro di Google: l'intervista a Sundar Pichai

Il futuro di Google è iniziato da tempo, ormai. Almeno dal 2015, quando Sundar Pichai — 48 anni, cresciuto a Chennai, India, e con due master, a Stanford e alla Wharton School — ne è diventato l’amministratore delegato.

A pochi giorni dalla chiusura del tradizionale evento per sviluppatori I/O, Pichai — dal 2019 al timone anche di Alphabet, azienda da oltre 1.500 miliardi di dollari di capitalizzazione che oltre a Google controlla progetti paralleli nel campo di intelligenza artificiale (Ai), salute, longevità — ha raccontato la sua visione a un gruppo di giornalisti europei: «Tre anni fa abbiamo iniziato a declinare la nostra missione aziendale — organizzare l’informazione del mondo, e renderla universalmente disponibile — in termini nuovi. Vogliamo aiutare gli utenti ad aumentare competenze, successo, salute, felicità: e farlo, grazie all’aiuto dell’Ai, in momenti eccezionali e quotidiani. Dalla ricerca di una scena in un video alla prevenzione di tumori al seno o alla pelle; dalle videochiamate in 3D al miglioramento della ricerca sul web, sempre più in grado di interpretare le sfumature del linguaggio naturale».

L’Ue, però, teme che avanziate nell’intelligenza artificiale perché avete molti più dati di altri competitor.
«Rendiamo pubblico moltissimo materiale sull’Ai e permettiamo ad altri di beneficiare dai nostri avanzamenti: ad esempio attraverso Google Cloud, o nel campo della sanità. Dai progressi che altre aziende stanno compiendo, non vedo molte prove del fatto che Google rappresenti una barriera all’ingresso».

In Italia, l’Antitrust vi ha multati per l’esclusione di una app di Enel X dal sistema Android auto.
«Non credo ci sia un sistema operativo più aperto di Android, che è open source e gratuito. Gli app store sono ormai molti: noi abbiamo il nostro, con un nostro approccio, dove dobbiamo rispondere alle richieste di sicurezza e privacy dei nostri utenti. Nel caso particolare, non concordiamo con la conclusione cui sono giunte le autorità: ma ci adegueremo, e dialogheremo in modo costruttivo».

Molti dei vostri ricavi arrivano dalla pubblicità: avete in vista più diversificazione?
«A Google, e ad Alphabet, abbiamo molti prodotti che contribuiscono in modo decisivo al fatturato: search, ma anche Cloud, YouTube, Google play, i nostri sistemi hardware. Abbiamo già diversi modelli di business in campo: e il nostro obiettivo è diversificare il portafoglio di prodotti e di linee di mercato».

Operate anche in Cina, dove per molti aspetti il sistema di valori è in contrasto con quello occidentale.
«Noi siamo un’azienda, sviluppiamo prodotti e servizi e operiamo seguendo i nostri valori, che ho sempre difeso. Ovunque, dialoghiamo con le autorità: e credo che ci siano problemi che richiedono un approccio di cooperazione globale per essere risolti. La pandemia ce lo ha ricordato: ma lo stesso vale per la sostenibilità, o la sicurezza e l’utilizzo dell’Ai, che ha bisogno di una cornice e di una cooperazione globali. Non siamo responsabili per i trend geopolitici, ma crediamo che Internet possa costruire ponti e creare aperture».

Negli Usa le autorità federali stanno indagando su Google. Quali rapporti vi aspettate di avere con l’amministrazione Biden?
«Separerei le questioni. Da un lato, il rapporto con il governo, improntato al confronto. Dall’altro, le indagini: siamo convinti della correttezza del nostro comportamento, di aver creato servizi e prodotti che i consumatori vogliono utilizzare, in totale libertà».

Da una parte la customizzazione dei prodotti, dall’altra la privacy. Come le concilierete?
«Gli utenti, quando usano un nostro servizio, si aspettano risposte coerenti e personalizzate. Ma ci sono settori dove sicurezza e privacy sono la prima preoccupazione, come quello della salute, anche se Google ritiene di poter fare la differenza nell’aiutare a rendere ragione di moli spesso spaventose di dati. Abbiamo trovato la soluzione tecnica per fare in modo di fornire risposte senza che i dati escano dai dispositivi. Insomma, vogliamo dare agli utenti quello che chiedono usando la minor quantità di dati possibile».

La pandemia ha cambiato il modo in cui lavoriamo. Come immaginate il futuro?
«Le esigenze di fronte a questa sfida cambiano da azienda ad azienda. Credo che il 60 per cento dei nostri dipendenti continuerà a lavorare dal proprio attuale ufficio 3 giorni la settimana, e 2 da casa; il 20% si trasferirà in altri uffici di Google in giro per il mondo; l’altro 20 continuerà a lavorare da remoto. Credo che aumentare la flessibilità crei opportunità per attirare nuovi talenti, in nuovi mercati. A volte occorre davvero stare insieme per creare nuovi prodotti straordinari, e collaborare. Ma vediamo lo stress causato dal pendolarismo, o i disagi del costo di una casa in certe città. Dobbiamo tornare a pensare fuori dalla norma per creare un senso nuovo di collaborazione e creatività».

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