26 luglio 2020 - 18:03

Morta Olivia De Havilland, la Melania di «Via col vento»

Era l’ultima superstite del cast del kolossal interpretato anche da Vivien Leigh e Clark Gable: ha vinto due Oscar (e una causa storica contro la Warner Bros) e ha avuto una vita straordinaria (con una lite furiosa con la sorella, Joan Fontaine)

di Paolo Mereghetti

Morta Olivia De Havilland, la Melania di «Via col vento»
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È morta a Parigi all’età di 104 anni l’attrice Olivia De Havilland, ultima superstite del cast di «Via col vento»: nel kolossal aveva interpretato la parte di Melania, co-protagonista femminile della storia assieme a Rossella O’Hara, interpretata da Vivien Leigh. Questo è il ritratto di Paolo Mereghetti, critico cinematografico del Corriere della Sera.

Per tutti è sempre stata Melania, la remissiva e pudibonda moglie del mite Ashley di «Via col vento» (1939), tanto ingenua da non accorgersi che la cugina Rossella le insidiava il marito. Ma la carriera della più longeva delle star, scomparsa a 104 anni a Parigi, dove si era trasferita a metà degli anni Cinquanta per allontanarsi da una Hollywood che non l’amava molto, è decisamente più ricca e complessa, sia per i film che ha interpretato che per il processo che intentò contro la Warner Bros.

Nata il 1° luglio 1916 a Tokyo, dove esercitava il padre, avvocato inglese, Olivia de Havilland seguì la madre Lilian Ruse a Los Angeles dove si era trasferita dopo il divorzio insieme con la figlia minore Joan, che per debuttare al cinema sceglierà il cognome del secondo marito della donna, George Fontaine.

La prima esperienza professionale di recitazione, Olivia la ottiene grazie a Max Reinhardt che le affida la parte di Hermia in «Sogno d’una notte di mezza estate» messo in scena nel 1934 all’Hollywood Bowl, ruolo che sarà suo anche nella produzione cinematografica dell’anno dopo, prodotto dalla Warner che la mette sotto contratto.

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I record

Le ferree regole del codice Hays, entrato in vigore da poco, spingono la Warner a puntare sui film d’avventure, relegando le donne a ruoli da comprimarie. Così la de Havilland, che poteva contare su una bellezza rassicurante, elegante e dolce, diviene la partner ideale di Errol Flynn in «Capitan Blood» (1935), «La carica dei 600» (1936) e «La leggenda di Robin Hood» (1938), conquistando soprattutto le platee femminili che vedono in lei la donna che avrebbero voluto essere, affascinante senza essere sexy, tenera e remissiva e però pronta a lottare per difendere il suo uomo.

Ma l’attrice, che a 19 anni ha ricevuto in regalo da Joan Crawford un libro su Stanislavskij che ha divorato, si ritiene pronta per ruoli più complessi e inizia a sopportare male i limiti che lo studio le impone, come quando non vorrebbe accavallare le riprese di «Via col vento» — Selznick ha dovuto molto contrattare con Jack Warner per affidarle il ruolo di Melania — con quelle di «Il conte di Essex» dove Michael Curtiz la vuole ancora al fianco di Flynn.

Le regole dello studio però sono ferree e l’attrice deve piegarsi di malavoglia a un faticosissimo doppio lavoro e rinunciare, sempre per l’ostilità di Jack Warner, a interpretare il film successivo prodotto da Selznick, quel «Rebecca la prima moglie di Hitchcock» che finirà per essere affidato alla sorella Joan Fontaine, con cui inizia ad avere dei rapporti sempre più tesi (scomparsi definitivamente in occasione della morte della madre per come organizzare le esequie: dal 1975 le due sorelle non si sono più né parlate né viste).

Obbligata per contratto a interpretare ruoli che non le offrono di crescere artisticamente — «La storia del generale Custer» (sempre con Errol Flynn che la corteggia senza successo), «Bionda fragola» (dove lotta con l’erotismo di Rita Hayworth) – la de Havilland, che intanto è diventata cittadina americana, ottiene nel ‘41 la sua seconda nomination dopo quella per Melania, ancora una volta con un film non della Warner: è stata prestata alla Paramount per il ruolo dell’ingenua maestrina che fa innamorare Charles Boyer in «La porta d’oro».

Ai problemi produttivi, che le costano spesso delle sospensioni dal lavoro, si aggiungono poi gli screzi con le colleghe, come con Bette Davis, gelosa che durante le riprese di «In questa nostra vita» Olivia abbia vissuto una relazione infuocata col regista John Huston. Nel 1943 il suo contratto finalmente termina ma la Warner vorrebbe recuperare 25 settimane di lavoro supplementare per compensare i periodi di sospensione inflitti per punirla dei suoi rifiuti e Olivia de Havilland decide di portare lo studio in tribunale. Una causa che in molte le sconsigliano (anche la Davis era stata umiliata dalla Warner in tribunale) ma che lei alla fine vince, cambiando definitivamente le regole di Hollywood e permettendo per esempio agli attori chiamati in guerra di non dover recuperare i periodi trascorsi sotto le armi.

La lotta in tribunale le è costata due anni di lontananza dai set, ma adesso è libera di tornare e di decidere della sua carriera. E i risultati non si faranno attendere. Con «A ciascuno il suo destino» (1946) vince il suo primo Oscar nella parte di una ragazza madre che deve aspettare vent’anni prima ritrovarlo, un ruolo che la obbliga a invecchiare di venticinque anni e interpretare la stessa donna in quattro età differenti, arrivando a usare quattro profumi diversi per entrare meglio nei cambiamenti del suo personaggio. Una finezza recitativa che l’attrice dimostra anche misurandosi con generi che non aveva mai affrontato, il noir con «Lo specchio scuro» (1946) dove dà vita a due gemelle dal carattere opposto, e il dramma manicomiale con «La fossa dei serpenti» (1948), il primo film di Hollywood sul tema non solo della pazzia ma della sua cura e dell’inumanità del personale sanitario, che le valse un’altra nomination e la Coppa Volpi al Festival di Venezia (contribuendo anche a far cambiare la legislazione sulla psichiatria in 26 stati americani).

E infine il suo secondo Oscar con «L’ereditiera» (1949) dove porta sullo schermo il personaggio creato da Henry James, una donna che dopo l’iniziale sottomissione sa sfoderare un carattere duro e deciso. Proprio come aveva dimostrato nella vita reale.

Olivia de Havilland, la vita della star di «Via col vento» negli scatti d’epoca
L’ultima di «Via col vento»

Ci furono anche dei passi falsi nella sua carriera, come quando rifiutò il ruolo di Blanche in «Un tram chiamato desiderio», spinta dal marito Marcus Goodrich, uno scrittore che aveva sposato nel 1946 e da cui divorziò nel 1953, quando scelse di lasciare l’America per Parigi, dove nel ‘55 sposò il giornalista Pierre Galante (da cui divorziò nel 1979), e dove si stabilì fino alla morte. Tornando ogni tanto a Hollywood per interpretare ancora qualche film, come «L’orgoglioso ribelle» (1958, accanto ad Alan Ladd) o «Luce nella piazza» (1962, girato in Italia) o «Un giorno di terrore» (1964, dove è alla mercé di un terzetto di tre teppisti drogati).

L’ultimo acuto è accanto a Bette Davis, di cui era diventata cara amica, per «Piano… piano, dolce Carlotta» (1965). Poi solo qualche comparsata di lusso («Airport 77», «Swarm») prima di ritirarsi definitivamente nella sua casa parigina del sedicesimo arrondissement.

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