Una vita non basterebbe a raccontare le mille vite di Sante Notarnicola. Il «poeta fuorilegge», il «brigatista del Pratello», come voleva la leggenda che intorno a lui si era costruita, anche se lui in carcere c’era finito nel ‘67 per un esproprio proletario con la banda Cavallero e le Br le aveva vissute solo da dietro le sbarre. Ma Sante il «bandito» se ne è andato a 83 anni, per le complicanze di un’influenza. Dopo aver combattuto e sconfitto il Covid, la vita gli ha giocato l’ultimo scherzo e gli ha tolto il respiro proprio quando sembrava stare meglio, tornato a casa, nella sua Bologna che dopo il carcere, dagli anni 90, lo aveva adottato. E generazioni di giovani, militanti, sognatori o anche solo bevitori, si ritrovano orfani. Perché per più di vent’anni dietro il bancone del Mutenye, che aveva gestito, Sante aveva trascorso nottate a raccontare aneddoti di una vita da combattente, con la saggezza di un maestro di coerenza morale. Senza enfasi, con la serenità di chi sa di aver scelto da che parte stare e di aver pagato il suo conto alla giustizia. Un conto fatto di più di vent’anni di galera, di carcere duro, di isolamento. Ma scriveva Notarnicola nel 1972 «Per me essere comunisti è l’unico modo di essere uomini».
Lunedì la notizia della sua morte da Bologna è rimbalzata giù in Puglia, dove Sante era nato nel ‘38 nella provincia di Taranto. Da bambino aveva conosciuto la fame e la povertà, l’istituto per l’infanzia abbandonata e poi Torino, dove mentre maturava la coscienza della classe operaia lui forgiava la sua esperienza politica tra ex partigiani, nella Fgci e poi nel Pci. A Torino si nutrì di speranze rivoluzionarie, del sogno partigiano di una giustizia sociale. É il ‘59 quando Notarnicola, con Pietro Cavallero e altri compagni, inizia una serie di colpi a banche e gioiellerie, obiettivo dichiarato raccogliere soldi in favore dei movimenti per la liberazione dei paesi coloniali. Ed è durante una rapina a Milano, finita nel sangue, che verrà arrestato. Solo «bandito» chiederà di essere definito a chi gli stringe le manette ai polsi. Ma da allora gli sono state cucite tante etichette addosso, compresa quella di brigatista, visto che il suo sarà il primo nome della lista di prigionieri politici che le Br, dieci anni dopo, chiederanno di liberare in cambio della vita di Aldo Moro.
In cella Notarnicola inizia a scrivere libri e poesie e intraprende una nuova battaglia, mai abbandonata neanche con la vecchiaia, contro le condizioni disumane delle carceri italiane. Solo un anno fa aveva firmato l’appello di molti intellettuali per la liberazione dei detenuti a rischio Covid. E per la morte del brigatista romano Salvatore Ricciardi, compagno di cella, ad aprile 2020 ricordava «quella finestrella della tua cella nel carcere di Cuneo dove si vedeva tutto intero il Monviso innevato. Appena libero dal virus — scriveva— voglio raggiungere il Monviso per un saluto speciale per te e per me stesso».