Milano, 19 novembre 2017 - 08:29

«Addio al mio bel fieu»: la lettera di Giampaolo Pansa al figlio Alessandro

La lettera di Giampaolo Pansa sul quotidiano «La verità» in cui ricorda il figlio Alessandro scomparso a 55 anni, l’11 novembre scorso. Tra ricordi del bambino e poi uomo in famiglia e quelli dell’esperto di finanza, tutto il bene e l’affetto di un padre

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«Caro Alessandro, la tua scomparsa improvvisa mi ha costretto a prendere atto di alcune verità. La prima è che nella vita di tutti giorni accade ciò che di solito avviene quando c’ è una guerra. Che cosa succede in una nazione coinvolta in un conflitto? L’ho visto con i miei occhi di bambino negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale: a morire sono sempre i giovani, mentre gli anziani la scampano. Insomma, la guerra rovescia lo stato naturale delle cose. Ma può accadere così anche se il mondo si trova in pace. Te ne sei andato a 55 anni. Mentre io sono ancora vivo quando ne ho 82.»

Una lettera a cuore aperto: è quella che Giampaolo Pansa ha dedicato al figlio Alessandro, 55 anni, vicepresidente della Feltrinelli e ex ad di Finmeccanica, morto l’11 novembre colpito da un infarto improvviso da cui non si è più ripreso. «Ti confesso che in questi giorni più di una volta mi sono domandato: perché il Padreterno non ha preso me, invece di te, anche se avrebbe arrecato un grande dolore alla persona che amo di più al mondo, la mia cara Adele? Lo so, è una domanda senza senso: il perché lo conosce soltanto lui. Ma l’ ho pensato e credo che ci metterò del tempo prima di non chiedermelo più» scrive ancora il giornalista e scrittore nel testo pubblicato dal quotidiano La Verità, diretto da Maurizio Belpietro.

Nato a Mortara, una laurea alla Bocconi e una grande passione per la finanza: una lunga carriera prima al Credito Italiano, poi il passaggio in Euromobiliare, quindi alla Lazard, come banchiere d’affari per Enel, Wind e Poste. Nel 2001 era entrato in Finmeccanica, diventandone amministratore delegato. Nel novembre del 2005 era stato nominato presidente di Ansaldo Sts, società del gruppo, venendo confermato nel 2008 e nel 2011; ha curato la quotazione in Borsa della società nel febbraio del 2006. Attualmente insegnava alla Luiss. A raccontare i giorni di scuola, le amicizie nate sui banchi e poi quelle del mondo del lavoro è ancora Giampaolo Pansa: «In questi giorni mi sono reso conto con gioia che avevi una vita intensa di affetti e di amicizie forti. Non la conoscevo anche se eri il mio unico figlio. Accanto a te c’ era un gruppo di amici, molto compatto e solidale. In parte erano stati anche loro allievi del liceo classico Manzoni che avevi frequentato a Milano, in parte erano allievi di altri licei della città» scrive «Tutti professionisti affermati, nella finanza, il tuo campo di attività, nelle banche e nella grande editoria libraria. Stavate bene insieme. Il lavoro che avevate scelto vi piaceva».

Un racconto privato, ricordi e pensieri che scorrono liberi a tentare di lenire il dolore per un vuoto incolmabile lasciato dalla morte improvvisa: «In questi giorni di lutto, un mio amico mi ha chiesto come tu la pensassi a proposito dei partiti italiani. Non ho saputo rispondergli, anzi non ho voluto. La memoria mi ha restituito soltanto l’ Alessandro all’ età di 16 anni, quando si era preso una cotta politica per Sandro Pertini, diventato presidente della Repubblica nel 1978. Avevi addirittura imparato a memoria il suo discorso d’ insediamento. Allora lavoravo a Repubblica e il direttore, Eugenio Scalfari, l’ aveva detto a Pertini e lui ti aveva invitato al Quirinale insieme a me. Quel giorno eri davvero soddisfatto!». Pansa padre e nonno parla dei figli di Alessandro, Giacomo e Angelica: «Quel che conta è la fortuna di avere avuto un padre sempre molto sollecito, anche se immerso in un mare di impegni. Da adolescenti non esitavano a criticarti e io lo consideravo una prova che insieme a tua moglie Costanza eravate stati capaci di crescerli da ragazzi liberi, senza soggezioni».

Pensieri che rimbalzano dai ricordi privati, di famiglia, a quello dell’uomo pubblico, nei rapporti con la politica, dell’imprenditore e manager: «Mi inoltro su un terreno minato. Dove incontro un lato importante del tuo carattere. Eri un uomo consapevole delle proprie capacità e dunque molto tenace nell’ affrontare le sconfitte momentanee. La più dura emerse nel 2014 quando il governo di Matteo Renzi, insediato da qualche settimana, mandò via i capi di tutte le aziende partecipate dallo Stato. In quel momento eri l’ amministratore delegato della grande Finmeccanica. Conoscevi tutto di quel gruppo poiché ci lavoravi da 12 anni, salendo gradino dopo gradino. Da un anno, dopo che era scoppiato il terremoto giudiziario che aveva eliminato ben due numeri uno dell’ azienda, avevi preso il loro posto. E, insieme a un gruppo ristretto di giovani dirigenti, ne avevi retto il timone con mani salde» scrive Pansa che cita la politica di quegli anni come un «mattatoio di bande che si azzannano», che ricorda il figlio Alessandro “caduto”, «eliminato nel pieno della maturità intellettuale e professionale, com’ è accaduto e accadrà ancora a molti altri», che - con cura amorevole - da padre si chiede «Come avrei potuto proteggerti, figlio?», che si rammarica di essere stato un padre assente e «ingombrante anche perché mi ostinavo a scrivere articoli e libri scomodi, pur avendo già superato l’ età della pensione» e - dice - «non ho mai conosciuto il tuo giudizio sul mio lavoro».

Sono le parole di un padre che ricorda gli anni spensierati del figlio, i commenti nei temi delle elementari in cui Alessandro parlava di un papà giornalista non necessariamente famoso ai suoi occhi di bambino: «Mio papà fa il giornalista e, quando ritorna a casa la notte, svuota il frigorifero». Poi il suo saluto a quel figlio che per un genitore cresce ma resta sempre cristallizzato come “piccolo”, da proteggere ma in grado di infondere gran forza e fiducia nella vita: «Con la tua partenza, quel mondo è finito del tutto. Da parecchio, la notte non traffico con il frigo. Cerco di dormire. E ci riesco soltanto perché mi accuccio nel fianco di Adele. Da una settimana cerco di non pensare che tu, caro Alessandro, te ne sei andato chissà dove. E ti confesso che ho il terrore di sognarti. Però, mio bel fieu, mio bel ragazzo, ti accoglierò sempre a braccia aperte. O con un cazzotto sulla spalla. Come facevo quando venivi a trovarci. Mi piacerà ascoltare di nuovo la tua voce che mi dice: «Fai bene a scrivere contro questi nuovi politici che stanno portando il nostro Paese al disastro». Ritroveremo così quell’ intesa che a volte ci è mancata. Ti voglio bene. Giampaolo, il tuo papà».

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