22 giugno 2020 - 21:43

Morto Pierino Prati, attaccante di Milan e Roma: aveva 73 anni

Capocannoniere al primo anno da titolare in A. Segnò tre gol nella finale di Coppa dei Campioni del 1969 contro l'Ajax

di Roberto De Ponti

Morto Pierino Prati, attaccante di Milan e Roma: aveva 73 anni
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C’è modo e modo di essere un numero 11. C’è il modo alla Mariolino Corso, indolente e illuminato, fantasista per talento e ala sinistra per caso, innamorato della fascia sinistra perché, dicono, a San Siro gli permetteva di ripararsi dal sole. E c’è il modo di Pierino Prati, poderoso e travolgente, attaccante puro piazzato all’ala sinistra perché da ragazzino sembrava troppo traballante su quelle leve lunghe per reggere gli impatti al centro dell’area. Se Corso non poteva che essere l’Inter, Prati era nato per giocare nel Milan. Se ne sono andati insieme, a tre giorni di distanza l’uno dall’altro, come se stessero discutendo verso il sottopassaggio dopo un derby.

«Non sa giocare a pallone ma sa fare i gol, ed è quello che conta di più nel calcio»: lo etichettò così Nereo Rocco, quando lo lanciò, lui così restio nel far giocare i giovani, nel Milan che avrebbe vinto lo scudetto 1967-68. Pierino Prati i gol li sapeva fare, e pure tanti: in quella stagione, ad appena 21 anni, ne segnò 15 in 23 partite, sufficienti per vincere il titolo di capocannoniere. E dire che avrebbe dovuto fare il portiere, almeno a sentire i suoi primi compagni. Giocava nella squadra dell’oratorio di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, e non aveva esattamente un fisico prorompente: senti Piero, è meglio se resti in porta perché quando giochi fuori finisci sempre per terra.

Lo fece, il portiere, fino a quando non si innamorò dei gol impossibili di José Altafini e convinse alla fine i compagni a farlo giocare avanti. All’ala sinistra, però, dove almeno non avrebbe fatto troppi danni.

Il numero 11 appiccicato sulla schiena lo avrebbe accompagnato per tutta la carriera, così come le sue corse e il senso innato per il gol. Fu lo zio a portarlo al Milan per un provino. Fu Nils Liedholm, all’epoca responsabile del settore giovanile rossonero, a dare l’ok: ragazzino è buono, prendiamolo. Correva l’anno 1965.

Prati ha segnato praticamente ovunque sia stato. Alla Salernitana e al Savona, dove il Milan lo aveva spedito a farsi le ossa. In Nazionale, dove ha avuto la somma sfortuna di doversi confrontare con il paradigma dei numeri 11, Riva Luigi da Leggiuno. Alla Roma, dove in quattro stagioni e mezza ha dribblato pure gli infortuni. Ma è in rossonero che Pierino è diventato la Peste, sei anni in cui ha vinto tutto. Scudetto, Coppe Italia (due), Coppe delle Coppe (due), Coppa Intercontinentale. E soprattutto la Coppa dei Campioni 1969, 28 maggio, stadio Santiago Bernabeu, di cui Prati è stato l’eroe assoluto. Un palo colpito dopo appena un minuto e poi uno, due, tre gol, Ajax battuto per 4-1 e la coppa con le orecchie sollevata nella notte di Madrid.

Pierino era l’anima rock’n’roll del Milan così come Rivera ne era quella classica. Gianni giocava a testa alta e serviva assist, Pierino ringraziava e scaraventava in rete tutto quel ben di Dio, in qualsiasi modo, di piede, di testa, in acrobazia. Non avesse avuto mille problemi fisici, Prati non avrebbe vissuto una fase calante di carriera così calante, tanto da passare inosservato alla Fiorentina e da mettere insieme 6 presenze in America, ai Rochester Lancers, prima di chiudere là dove aveva cominciato, a Savona.

C’è modo e modo di essere numeri 11. Come si dice in questi casi, Prati se n’è andato dopo aver lottato a lungo con la malattia. Ha lottato, come quando correva in lungo e in largo per i campi di calcio, preferibilmente partendo da sinistra. Ora che ha raggiunto Corso, nel sottopassaggio potrà dirgli: «Mario, questa è l’unica volta che sei stato più veloce di me».

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