27 maggio 2021 - 11:44

Roberto Bolle: «Al debutto con Carla Fracci ero terrorizzato»

«Ma in tv ha reso popolare la nostra arte, fregandosene delle critiche dei puristi»

di Chiara Maffioletti

Roberto Bolle: «Al debutto con Carla Fracci ero terrorizzato»
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Roberto Bolle non ha dubbi: «Non avrei mai fatto quello che ho fatto nella mia carriera se Carla Fracci non avesse aperto le strade prima di me. Io più di altri le sono grato. La sua perdita è un grande dolore».

Come era il vostro rapporto?

«Era un riferimento per me, da sempre. Anche io sono cresciuto conoscendo Carla Fracci e considerandola, già da bambino, una delle più grandi interpreti e ballerine. Ha rappresentato la danza italiana nel mondo: nessun altro nome era conosciuto e riconosciuto come il suo».

Come è stato poi incontrare di persona il suo mito?

«La ricordo agli spettacoli in Scala. Io studiavo e la guardavo ammirato. Ripenso a una sua Giselle, quando ero in scuola di ballo: un suo ruolo iconico, era meravigliosa. E poi il suo debutto a 60 anni nel ruolo di Tatiana in Onegin: una forza incredibile».

Quali erano le doti che più la colpivano di lei?

«Sempre stato molto toccato dalla sua determinazione e volontà. Dalla tenacia con cui affrontava le prove e il palcoscenico. Il passo successivo è stato collaborare: io ero appena entrato nel corpo di ballo e mi sono trovato a ballare con lei Lo spettro della rosa, per giunta in Giappone».

Cosa lo ricorda?

«Io terrorizzato, più ancora che per il mio debutto nel ruolo, per il fatto di dover ballare con l’icona della danza come lei. Avevo un timore reverenziale unito all’agitazione all’idea di sbagliare qualcosa: non tanto i miei passi, ma piuttosto non tenerla bene, non sostenerla abbastanza...».

Lei ne era consapevole?

«Sicuramente sapeva benissimo la sua importanza. Ma nonostante fosse un mito mi ha aiutato moltissimo, non mi ha messo mai a disagio o in una posizione difficile: mi ha sempre supportato. Negli anni il nostro rapporto si è consolidato sempre più, diventando anche molto affettuoso. Vederla era sempre un piacere; l’ultima volta lo scorso febbraio»

Le ha dato dei consigli?

«Erano soprattutto sull’interpretazione, sulla parte attoriale, più che sulla tecnica. Devo anche a quelle indicazioni la mia crescita».

Cosa ha reso Carla Fracci un’icona, secondo lei?

«Il carisma. Quella luce in più che hai quando sei sul palcoscenico. Carla ce l’avevava: una forza, un’energia che altre ballerine altrettanto brave o anche più brave non avevano. Sapeva stare sul palco e come lei pochissime altre al mondo. Inoltre, mi ha sempre colpito come ha gestito sua carriera».

Come?

«È stata molto avanti, smitizzando la figura della ballerina classica grazie alle sue incursioni al cinema, in tv, nella pubblicità. Ha ballato con Heather Parisi e le gemelle Kessler e tutto per portare la danza fuori dai teatri. Prima di lei la era un’arte per pochissimi: le va riconosciuto il merito enorme di aver allargato il pubblico della danza, sperimentando e fregandosene delle critiche dei puristi. La sua era la strada giusta».

Che lei stesso ha seguito.

«Abbiamo tanti punti in comune: la scuola di ballo della Scala fin da giovanissimi, la carriera all’American Ballet Theatre e l’idea di diffondere la nostra arte con qualunque mezzo. Lei ha cambiato l’immagine della ballerina classica: non ne aveva bisogno, il suo era il desiderio di allargare i confini».

In tempi recenti avevate ballato assieme in tv, in uno sketch in cui «si sdoppiava».

«Perché era grande anche la sua ironia. Le riprese erano state piuttosto lunghe ma lei era rimasta in studio fino alla fine. E quando quasi alle due di notte è partita la sigla, si è messa a ballare, così, improvvisando per dieci minuti, con la gioia e l’entusiasmo di essere lì a danzare. Ha dato una grande lezione a tutti. Mancherà tanto a me e alla danza italiana».

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