Addio Anna Cataldi, ambasciatrice di pace

di Elisabetta Rosaspina

Scrittrice, giornalista e attivista dei diritti umani. L’amore per l’Africa e l’amicizia con Audrey Hepburn

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I mpossibile raccontare tutte le vite condensate nei suoi 81 anni. La più coinvolgente è stata senz’altro quella che ha dedicato ai diritti umani, cui si è consacrata con ogni risorsa a sua disposizione. Fino all’ultimo, fino a ieri, quando un malore se l’è portata via. Anna Cataldi, giornalista, scrittrice, produttrice cinematografica, scelta nel 1998 dall’allora segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, come Messaggera di pace assieme a Luciano Pavarotti (li aveva fatti incontrare proprio lei), già International media consultant dell’Unicef, Goodwill ambassador dell’Organizzazione mondiale della sanità, nel programma Stop Tbc, e del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati) non sentiva di avere già fatto abbastanza.

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Anna Cataldi con Kofi Annan, ex segretario generale dell’Onu

In questi giorni il suo obiettivo era di riuscire a «esfiltrare» dall’Afghanistan la famiglia di un bambino, meglio, un ex bambino, che nel 2001 aveva portato con altri piccoli profughi da Peshawar in Italia, al concerto di Pavarotti and Friends, quell’anno dedicato al paese ancora in mano ai talebani. Non aveva dimenticato il bambino saggio che in quel mese di ristoro italiano aveva capito l’importanza di studiare e ne aveva fatto tesoro in patria. Voleva a tutti i costi offrire a lui e ai suoi figli un’altra opportunità: «Mi telefonava anche di notte» ricorda commossa Nicoletta Mantovani. E non soltanto a lei: stava smuovendo tutte le sue conoscenze — e non erano poche — in Italia, a Ginevra, alla Croce Rossa, ai vertici delle Nazioni Unite, incapace di rassegnarsi. Incapace di accettare che l’Afghanistan, il Paese che aveva percorso in lungo e in largo, in compagnia di grandi fotoreporter, come James Nachtwey e Sebastiano Salgado, fosse di nuovo ostaggio del fanatismo più truce. Incollata ai notiziari della Bbc e della Cnn, era indignata dal voltafaccia degli Stati Uniti, dalle parole del Segretario di Stato Tony Blinken, quando ha detto «la nostra missione non è mai stata quella di aiutare gli Afghani. Noi volevamo solo vendicarci per le Torri Gemelle».

Una delle sue risorse era proprio «la capacità di collegare le persone», come ricorda ancora Nicoletta Mantovani, al suo fianco con la Fondazione Pavarotti. La capacità di spendersi per tutti, come aggiunge Urbano Cairo, suo marito per otto anni: «Unica, speciale, generosa — cerca per lei aggettivi adeguati l’editore —. Ha avuto un’influenza molto importante su di me. Il nostro è stato un grande legame e Anna ha continuato a far parte della mia famiglia, in tutte le occasioni, affezionatissima a mia moglie e ai miei figli». Era toccato a lui, il 2 agosto del 1993, darle la più terribile delle notizie: Giovanni, figlio del suo primo matrimonio con Giorgio Falck, era morto a 27 anni all’ospedale di Piombino dopo un’immersione all’isola d’Elba. Le restavano due figlie, Guia e Jacaranda, e la forza ostinata con la quale cercava di porre rimedio alle sofferenze dell’umanità in guerra.

Aveva ricevuto il testimone dall’attrice Audrey Hepburn, amica-sorella, che visitava le zone più disastrate del pianeta come Ambasciatrice dell’Unicef. A lei, e ad altre grandi donne altruiste, Anna Cataldi ha dedicato un libro, «Con il cuore» (Cairo): «Un giorno mi disse che stava partendo per la Somalia, dove la carestia uccideva migliaia di bambini. Le chiesi di andare con lei — raccontò al Corriere della Sera —. L’Africa la conoscevo bene. Ero stata io a comprare i diritti cinematografici di “La mia Africa” dagli eredi di Karen Blixen e a convincere Hollywood a farne un film». Il successo di un’altra delle sue vite, ottenuto senza farsi scoraggiare da chi, come Roman Polanski, le consigliava di dedicarsi ad altro. Lo raccontò nel suo ultimo libro, «La coda della sirena» (Rizzoli).

Raccolse invece il suggerimento di Audrey Hepburn: «Io posso spendere la notorietà che mi resta per rendere il mondo consapevole di cosa sta succedendo. Tu sai scrivere: usa la parola per fare la stessa cosa». Obbedì, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso i suoi reportage per Panorama, Epoca e L’Espresso dai fronti di guerra: Bosnia, Cecenia, Angola, Ruanda. A volte travalicava i compiti di giornalista: nel marzo 1992, con l’inviato del Tg4, Toni Capuozzo, portò via da Sarajevo, nascosto in un giubbotto antiproiettile, Kemal Karic, 10 mesi, orfano di madre e mutilato di una gamba dai bombardamenti, per farlo curare in Italia.

2 settembre 2021 (modifica il 3 settembre 2021 | 00:48)