Il caffè
Intanto a Crotone
All’alba di ieri una grande barca a vela si è ribaltata lungo la costa crotonese, nei pressi di un hotel affacciato sul mare. I passeggeri curdi sono caduti nell’acqua gelida, aggrappandosi con le unghie ai bordi dello scafo alla deriva. Dall’albergo hanno sentito le urla e chiamato i soccorsi. Dal vicino comune di Melissa sono arrivati i residenti, capeggiati dal sindaco. Nessuno si è chiesto da dove venissero quelle persone, come fossero arrivate fin lì e che cosa avrebbe detto l’Europa. Hanno visto dei naufraghi e si sono buttati. C’era una madre in acqua che stritolava le braccia dei soccorritori e gridava: non pensate a me, salvate il mio bambino. Hanno salvato il bambino, e anche lei. Nel marasma, due agenti delle Fiamme Gialle hanno captato il pianto di un neonato in trappola. Si sono infilati nella barca e al buio lo hanno tirato fuori, senza immaginare di essere diventati fiancheggiatori dell’«antisovranismo neoliberista», come si è poi letto sui siti. I volontari hanno portato coperte e trascinato vecchie stufe, e una signora si è tolta il suo giubbotto per avvolgere una ragazza che batteva i denti, resistendo al freddo e ai sospetti di buonismo.
Proprio mentre l’accoglienza di quarantanove persone al largo di Malta diventava questione di Stato, gli abitanti di un piccolo comune calabrese ne salvavano in silenzio altre cinquantuno. Tra i soccorritori ci sarà stato anche chi teorizza «prima gli italiani», ma nei momenti fatali ci si ricorda di essere prima umani.