3 gennaio 2021 - 11:19

Morto Marco Formentini, tra l’orgoglio lumbard e il Leonka: «Uomo capace di mediazioni»

Primo sindaco leghista di Milano. A Palazzo Marino molti lo chiamavano «Zio Marco»

di Giampiero Rossi

Morto Marco Formentini, tra l'orgoglio lumbard e il Leonka: «Uomo capace di mediazioni»
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A Palazzo Marino molti lo chiamavano «Zio Marco». E lui non ha mai mostrato fastidio verso chi riteneva di potersi prendere questa confidenza, così come si ricordano solo sorrisi a chi gli nominava la « first sciura », cioè sua moglie Augusta, non meno popolare di lui. Eppure l’elezione di Marco Formentini - sindaco dal 1993 al 1997, morto ieri all’età di 90 anni - era il risultato di uno scontro politico tra i più aspri che abbiano attraversato Milano dal dopoguerra.


Quando dal cilindro di Umberto Bossi uscì il nome del candidato che avrebbe dovuto guidare l’arrembante movimento « lumbard » alla conquista di Milano, i venti del cambiamento spiravano già fortissimi da almeno un anno: l’effetto domino dell’inchiesta Mani pulite, l’avanzata dei movimenti (Lega e Rete) e il crollo dei «vecchi partiti tradizionali» alle elezioni della primavera 1992 , prima ancora il successo leghista alle amministrative bresciane. E adesso in gioco c’era il governo della città più importante. Molti, non a torto, ritenevano che per la borghesia milanese, grande e piccola, le parole forti di Bossi fossero di difficile digestione. Ed è anche per questo che il fondatore e leader assoluto del Carroccio si decise a puntare sul più anziano e presentabile Marco Formentini. Ex socialista, cresciuto in una famiglia di sinistra, a 14 anni aveva collaborato alla Resistenza a La Spezia, dove era nato. Negli anni ‘50 guerra aveva vissuto in Belgio con la famiglia, dove (dopo la laurea in Giurisprudenza) sarebbe tornato come funzionario delle istituzioni europee. A Milano negli anni ‘70, aveva fatto politica attiva nel Psi per poi allontanarsene durante l’ascesa di Bettino Craxi e abbracciare la giovane Lega.


Il 20 giugno del 1993 fu eletto sindaco con il 57 per cento dei voti, portando con sé 36 consiglieri comunali, molti dei quali - come il giovanissimo Matteo Salvini - avevano messo insieme poche decine di preferenze personali, perché con l’elezione diretta scattava anche il premio di maggioranza. La campagna elettorale aveva spaccato la città e sbriciolato tanti confini tra gli schieramenti politici, tra slogan feroci e programmi bellicosi, dove lo sgombero del centro sociale Leoncavallo occupava un posto smisuratamente importante. Ma anche nei giorni più caldi Formentini si prendeva una pausa dagli appuntamento elettorali e tornava a casa per un riposino pomeridiano. E una volta diventato sindaco, offrì spesso il suo volto più rassicurante e moderato, cercando di difendere comunque la sua identità leghista, per esempio portando all’occhiello - spesso ma non sempre - la spilla che raffigurava l’Alberto da Giussano, simbolo del movimento di Bossi. Si arrabbiava quando gli venivano contestate contraddizioni con il suo ruolo istituzionale e potevano apparire autentici pezzi di teatro le esplosioni d’ira che riusciva a scatenargli puntualmente Giovanni Colombo, giovane consigliere comunale eletto con la Rete. «È successo più volte che se ne andasse imprecando quando prendevo io la parola - ricorda Colombo - ma la cosa bella era che gli passava subito, ci parlavamo tranquillamente e potevo chiamarlo “Zio Marco” anch’io. Lui, comunque, era capace di mediazione».


Rimase alla guida di Palazzo Marino fino al 1997, superando le tensioni e le polemiche per lo sgombero del Leoncavallo dalla sede storica, la bomba artigianale di matrice anarchia contro Palazzo Marino e anche le continue crisi di una giunta molto litigiosa. Alle elezioni successive la Lega fece corsa solitaria e il suo successore Gabriele Albertini, targato Forza Italia, vinse facilmente al primo turno. Ma Formentini, sebbene non più giovane, continuò a fare politica al Parlamento europeo, ma nel frattempo si era esaurito il feeling con la Lega di Bossi, al punto da uscirne per poi approdare ai Democratici, addirittura alla Margherita, dove si ritroverà accanto all’ex rivale Nando dalla Chiesa. Nel 2012, rimasto vedovo, si risposò nel 2015 con Daniela Gallone, davanti all’allora sindaco Giuliano Pisapia: «Ho un bel ricordo di quel giorno, lui e sua moglie erano felici - dice Pisapia -. Io e Formentini siamo stati su fronti politici opposti finché decise di abbandonare la Lega. Quando mi chiese di celebrare il suo matrimonio lo feci volentieri».


Anche l’ex sindaco Paolo Pillitteri, lo ricorda come «amico» e come «leghista tranquillo», e parole affettuose sono arrivate dal presidente della Regione Attilio Fontana, dal suo predecessore Roberto Maroni, da tanti rappresentanti della Lega, ma anche del Pd e dell’Anpi. «Marco Formentini è stato un uomo politico di cui Milano può essere orgogliosa», commenta il sindaco Beppe Sala. Per domani, in occasione delle esequie, è stato proclamato il lutto cittadino: bandiere civiche a mezz’asta in tutte le sedi comunali. La camera ardente sarà allestita nella Sala Alessi di Palazzo Marino dalle 9,30 alle 13,30. E alle 14,30, si terrà la cerimonia di commemorazione.


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