Morto Cosimo Di Lauro, voleva «conquistare» Napoli: ha ispirato Genny Savastano

di Fabio Postiglione

Trovato senza vita in carcere a Milano, prendeva psicofarmaci. Prima dell’arresto lasciò un pizzino con i nemici da sterminare

Cosimo Di Lauro

Cosimo Di Lauro

Era tormentato dagli incubi. Per riuscire a dormire prendeva psicofarmaci da oltre dieci anni. Diceva di sentire voci che gli sibilavano nelle orecchie. A volte rideva all’improvviso e, poi, senza motivo piangeva a dirotto. La sua vita, dal 2005, era tutta tra le quattro mura di una cella in un carcere di massima sicurezza. Isolato dal resto del mondo aveva deciso di non incontrare neanche più sua madre. E viveva asfissiato dal peso delle anime che si affollavano nella sua mente, forse le stesse che aveva deciso di spazzare via quando era il capoclan di Secondigliano e ordinava omicidi. Cosimo Di Lauro, il boss che ha scatenato una delle più atroci e violente faide degli anni Duemila a Napoli, è morto ieri in carcere a Milano a 48 anni, in circostanze misteriose. Stava scontando due ergastoli e altri due erano già dietro la porta. Era uno stratega del male.

La lista di nomi

La settimana prima del suo arresto — raccontano i pentiti — aveva scritto a penna su un foglio di carta strappato da un quaderno a quadretti una lista di nomi: era il suo testamento di morte. Da quel momento il fratello Marco, che sarebbe finito in carcere 14 anni dopo di lui, aveva avuto il compito preciso di scatenare l’inferno e uccidere tutti quelli segnati su quelle righe. E non c’erano solo boss, ma anche vittime innocenti: cugini, amici, padri, madri, sorelle, amanti. La lista della morte l’aveva pensata proprio Cosimo Di Lauro, perché non voleva rischiare di lasciare a metà quello che aveva cominciato nell’ottobre del 2004. Partì così la mattanza degli innocenti, delle vendette trasversali, lo sterminio dei nemici: chiunque capitasse a tiro in strada, affacciato al balcone, nei circoli, in sella a uno scooter, a piedi, negli obitori andava eliminato. Perché «più ne ammazzate più sono contento», diceva sorridendo al suo esercito di killer che la mattina uccideva e la notte si nascondeva nelle villette sul Litorale Domitio.

Cento morti

A Scampia e Secondigliano, tra la fine del 2004 e la metà del 2005, morirono in 100. La faida tra Di Lauro e scissionisti ha riempito pagine e pagine di cronache nei quotidiani locali e nazionali e ha ispirato il libro Gomorra . Cosimo Di Lauro, nella fiction rappresentato da Genny Savastano, lo chiamavano il chiatto perché da piccolo era goffo, proprio come il personaggio interpretato nella prima serie, da Salvatore Esposito. Primogenito di Paolo Di Lauro, il boss che aveva costruito un regno milionario con i traffici di eroina, cocaina e hashish. Ciruzzo ’o milionario sperava che il figlio Cosimo potesse un giorno ereditare il suo impero senza troppi scossoni. A lui aveva lasciato il compito di controllare le sorti dei dieci fratelli. Niente di più. Ma invece voleva altro, molto altro. Perché sapeva bene quanto la cosca di suo padre guadagnasse ogni mese dai traffici di sostanze stupefacenti. Tre milioni di euro a settimana per il lavoro delle 100 e più “basi” dello spaccio di droga, nel mercato all’aperto più grande d’Europa. E allora decise di svecchiare il clan. Chi aveva superato i 40 anni doveva lasciare spazio a chi era giovane e i primi a dover cedere dovevano essere gli uomini di Raffaele Amato detto ’a vicchiarella , che reagì subito. Il 28 ottobre del 2004 colpì al cuore Cosimo uccidendo il suo migliore amico, Fulvio Montanino, che quel pomeriggio era assieme a Claudio Salierno. Da quel momento la guerra non si fermò neanche per un giorno, con strascichi nella seconda faida del 2007 e quella dei “girati” del 2012. Cosimino fu arrestato dai carabinieri il 21 gennaio del 2005 nel “terzo mondo” al rione dei Fiori, nel quartiere dove era nato e cresciuto. Quando uscì di casa in manette indossava un soprabito di pelle; codino, volto teso e sguardo di ghiaccio. Aveva 32 anni e solo in pochi, anche tra gli affiliati fedeli, conoscevano la sua identità.

Mai troppo lontano da Secondigliano

Un pentito ha raccontato che quella sera, mentre veniva caricato in auto e portato in carcere, c’erano anche tre killer. Schivo, riservato, non aveva il cellulare e non aveva mai partecipato a feste, riunioni con tanta gente e mai si allontanava troppo da Secondigliano. La sua immagine (soprabito e sguardo di sfida) diventò la prima icona del male che rimbalzò di cellulare in cellulare. Fino a pochi anni fa era in carcere solo con l’accusa di associazione camorristica, poi i pentiti hanno iniziato a ricostruire i primi omicidi e a fare il suo nome. Secondo la procura di Napoli era anche il mandante dell’omicidio di due innocenti: Gelsomina Verde, torturata e uccisa nel tentativo di farle rivelare dove fosse nascosto Gennaro Notturno; e di Attilio Romanò, commesso di un negozio di telefonia, assassinato al posto del genero del boss Antonio Prestieri. Per entrambe le accuse è stato assolto. È stato condannato, invece, al carcere a vita per gli omicidi di Massimo Marino, cugino di Gennaro, e di Mariano Nocera, degli Abete-Abbinante. Era imputato per l’omicidio di Carmela Attrice, mamma di un ras che per nascondere il figlio dalla furia della camorra, fu assassinata al suo posto. E ancora per gli omicidi di Raffaele Duro e Salvatore Panico e del delitto di Federico Bizzarro. Sulla sua morte si addensano ombre. Gli avvocati Saverio Senese e Salvatore Pettirossi avevano chiesto da anni di sottoporre Cosimo Di Lauro a una perizia psichiatrica, sempre negata. Il pm di Milano Roberto Fontana ha deciso di disporre l’autopsia. La morte per ora resta un mistero.

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14 giugno 2022 ( modifica il 14 giugno 2022 | 09:55)

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