Morta Gaia Servadio, scrittrice dai molti talenti che stregò l’Inghilterra

di Livia Manera

Scrittrice e animatrice culturale, da più di mezzo secolo viveva nella capitale britannica. La figlia Allegra è stata la prima moglie del premier Boris Johnson

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Detestava il perbenismo, la psicanalisi, la political correctness, il cibo biologico, Woody Allen, la supponenza, la «cafonaggine» del Ring di Vienna e l’ipocrisia degli inglesi. Amava la lingua dei francesi, l’eleganza dei siciliani, la mondanità, la sapienza, l’autoironia e tutto ciò che è Medio Oriente. Gaia Servadio, che si è spenta ieri in una clinica romana, è stata una delle più vulcaniche e affascinanti scrittrici e giornaliste italiane. E non solo perché nei suoi ottantatré anni ha pubblicato più di trenta libri tra romanzi, saggi e biografie, e una quantità di articoli e reportage in italiano e in inglese, per il «Corriere della Sera» , «Il Mondo» di Pannunzio, il «Times» o l’«Observer». Ma perché la sua curiosità era un treno lanciato a tutta velocità verso i traguardi dell’avventura e della conoscenza. «Purtroppo a volte faccio delle sciocchezze per la fretta. Ma almeno le cose faccio», diceva. Stare al passo con la sua produzione non era impresa per i deboli di cuore. Solo negli ultimi sette anni ha pubblicato cinque libri: dall’autobiografia «Raccogliamo le vele» (Feltrinelli 2014), alla saga «Giudei» (Bompiani 2021), ispirata alla propria famiglia.

«Sono figlia della guerra», diceva. Quando parlava dell’infanzia, ricordava «la povertà indecente» degli anni passati a nascondersi, i cappottini fatti per lei e la sorella Pucci con le fodere delle poltrone, gli amici di Padova che si vergognavano della loro ebraicità, la morte e le macerie di fronte alle quali sua madre ripeteva «bambine, non guardate», e la nonna e la bisnonna uccise ad Auschwitz. A 15 anni era andata a studiare arte a Londra e non aveva perso tempo. Con la sua vivacità, la sua bellezza e certi spaghetti con le zucchine, si fece amici che le aprirono molte porte. Eppure, ammetteva, «dopo la prima cotta per l’Inghilterra, dietro la vernice del fair-play scoprivi l’ipocrisia, muffe di corruzione, bitumate di silenzio». E tuttavia da quel Paese si sentiva «tutelata». Anche se per la Brexit aveva solo indignazione.

Nel 1967 pubblicò con Feltrinelli un romanzo osé — «Tanto gentile e tanto onesta» — che diventò un bestseller internazionale. Prese la tessera del Pci. Seguì sul campo la guerra dei Sei Giorni in Israele; intervistò i più temibili mafiosi per la stampa inglese; studiò il russo e andò a Stalingrado a rendere omaggio al sacrificio dell’Armata Rossa. Si sposò due volte: la prima con l’elegante, colto e ricchissimo storico dell’arte Willy Mostyn-Owen, il cui padre si era raccomandato che «poteva sposare chi voleva, purché non fosse straniera, comunista o ebrea»; la seconda con un cugino del primo marito, il più amabile dei gentiluomini gallesi, Hugh Myddelton Biddulph. I due figli maschi, Owen e Orlando, le hanno dato cinque nipoti che adorava. La figlia Allegra, erede della sua bellezza, è stata la prima moglie di Boris Johnson.

Come Gaia Servadio riuscisse a scrivere tanto, e nel frattempo a imbandire la tavola della sua casa di Belgravia per «il meglio di Londra», era un mistero. Forse, di nuovo, la chiave era la fretta e uno spavaldo disinteresse per il perfezionismo; una cucina-sala da pranzo assai caotica; una conversazione brillante; molto vino e molta allegria. Da quel salotto sono passati Bernardo Bertolucci e Claudio Abbado, Eric Hobsbawm e Al Alvarez, Denis Mack Smith e Antonia Fraser, Isaiah Berlin e Vittorio e Camilla Adami, Inge Feltrinelli e John Pope-Hennessy. «Lo strano mestiere che mi ero scelta mi aveva portato a infilarmi in situazioni che a volte mi trasformavano la vita». In quelle «terre incognite» nacque l’amicizia con Mary McCarthy, Claire Bloom e Philip Roth, Francis Bacon e Jonathan Kent.

Gli amori furono molti. Poi, come mi confessò in un’intervista «questa cosa degli innamoramenti se dio vuole si è spenta. Che seccatura. Perché essere innamorati rende insicuri, vorresti essere più bella, più giovane, una fatica…». E diceva: «Bisogna sfidare a duello il mondo politically correct, la burocrazia puritana: è piccola borghesia che finge di essere illuminata». Poi se la prendeva con un’altra delle sue bestie nere, e chiamava la psicanalisi la penitenza della borghesia. E così facendo tradiva il segreto di quella sua forza straordinaria: guardare sempre avanti e non fermare mai il treno.

20 agosto 2021 (modifica il 20 agosto 2021 | 21:37)